Il prof. Milton J. Bennet, ben noto anche in Italia, ha creato un “Modello di Evoluzione della Sensibilità Interculturale”1. Dopo numerosi studi sia in campo accademico che nel mondo imprenditoriale, Bennet è riuscito ad identificare un modello comportamentale che mostra come le persone possono diventare sempre più efficaci nell’ambito della comunicazione e della negoziazione interculturale.
L’assunto alla base della sua ricerca sta nel fatto che la percezione della diversità culturale diventa più complessa, l’esperienza della cultura più sofisticata e il potenziale dell’esercizio delle competenze in ambito multiculturale aumenta considerevolmente. Vediamo in dettaglio quali sono le fasi di questa esperienza interculturale.
La prima grande differenziazione di Bennet riguarda due macro fasi: etnocentrismo ed etnorelativismo.
L’etnocentrismo come ci suggerisce la parola stessa evoca una visione della propria cultura come unica e giusta, una visione accentrata sulla propria cultura che viene considerata LA cultura e non UNA cultura; l’etnorelativismo invece ci accompagna verso una comprensione delle altre culture, perché la propria non è assoluta ma appunto relativa. In breve, non esistono più culture uniche e giuste… Ciascuna delle due macro fasi prevede tre processi interni: la prima fase, l’etnocentrismo, racchiude in sè i processi di negazione, difesa e minimizzazione.
La negazione indica un’esperienza in cui un individuo nega qualsiasi differenza o addirittura esistenza di altre costruzioni di realtà. Si nega l’esistenza della diversità perché fa paura. Da questa esperienza possono derivare o l’isolamento fisico e o psicologico oppure una separazione intenzionale fra “noi” e gli “altri” che spesso può degenerare in ostilità e discriminazione razziale.
Si entra nello stadio della difesa quando la differenza culturale può costituire una minaccia. Sulla base di stereotipi e pregiudizi, si comincia a vedere la differenza culturale sebbene attraverso una sorta di polarizzazione del contesto: “noi” e “loro”, “superiori” e “inferiori” “insider” e “outsider”; si sperimenta così la denigrazione del “diverso”. Tuttavia lo stadio di difesa può anche sfociare in un ribaltamento che vede la propria cultura denigrata mentre si esalta quella dell’“altro”.
L’ultimo stadio di questa prima parte dello sviluppo della sensibilità culturale, secondo Bennet, è la minimizzazione. In questa fase la propria cultura è percepita come universale ed unica, la differenza culturale viene riconosciuta ma si minimizza, quasi come a dire: “in fin dei conti siamo tutti uguali”. In questo punto dell’evoluzione della sensibilità interculturale la differenza culturale viene sopportata. Da rilevare che è su questo atteggiamento di superiorità culturale non particolarmente aggressivo che si basano anche molte iniziative missionarie e di cooperazione internazionale, nonché alcune imprese multinazionali che ancora hanno questo approccio nei confronti delle loro interfacce all’estero.
La seconda fase, l’etnorelativismo, racchiude in sé i processi di accettazione, adattamento e integrazione. L’accettazione mette nella condizione di pensare la propria cultura come UNA cultura fra tante. Questo processo aiuta a comprendere più a fondo e meglio la propria cultura nelle sue sfaccettature perché apre spazi di comprensione verso l’altra cultura. L’atteggiamento è alimentato dalla curiosità seppure manca ancora l’adattamento ai valori e alle visioni del mondo dell’altra cultura.
Con l’accettazione, dominante diventa la curiosità per il diverso, il che spinge appunto ad una riflessione sulla propria cultura: s’inizia a distinguere tra categorie culturali universali e particolari. Frequente in questa fase è l’impasserelativistica: se ogni comportamento o valore è accettabile all’interno di un contesto specifico, come orientare il proprio spirito critico? Fino a che punto accettare fenomeni che non si condividono? A questo riguardo, è utile distinguere tra accettazione dei comportamenti diversi e accettazione dei valori diversi.
Il secondo stadio della fase etnorelativa, l’adattamento permette una modulazione continua di se stessi in contesti culturali diversi dal proprio; l’adattamento necessita di un atteggiamento empatico che permetta una visione chiara e lucida dell’altro ed eviti una con-fusione dei contesti culturali. L’adattamento poggia su una solida base di conoscenza della cultura in questione.
Infine, l’integrazione, l’ultimo stadio del modello di Bennet, chiude il circolo dello sviluppo della sensibilità culturale. L’integrazione è quel atteggiamento, durante il processo di sviluppo, che pone il soggetto o i soggetti costantemente sul punto liminale di un non-spazio. I soggetti sono portati al di qua e al di la di questa soglia e possono finire col non appartenere a nessuna cultura ma costruire ponti a favore della comprensione interculturale.
È stato commentato molto brevemente un modello scientifico di comunicazione culturale che culmina, nella migliore delle ipotesi, nell’integrazione culturale, ma bisogna sempre tenere presente che una cultura è confermata e condivisa da un gruppo più o meno grande di persone e che ogni persona può confermarsi come singola, come individuo, unico ed integro, a prescindere dalla cultura di appartenenza, e fare la differenza ed essere essa stessa un ponte, ma questa è un’altra storia!
1 M. J. Bennet, The developmental model of intercultural sensitivity, revised, 2014.Dott.ssa Francesca Dell’OvaInterpreter and TranslatorTrainee at the Hellenic Institute of Cultural Diplomacy